The past keeps flowing through us with a hundred waves; we ourselves are in fact nothing but what we perceive of this flowing second by second. (F.Nietzsche)
SYNOPSIS For hundreds of years, on the Murgia plateau, on the border between Apulia and Basilicata (in the south of Italy), man walked with his flocks, under the sun and wind. Today, an old shepherd is stubbornly repeating the same gestures and meeting the same fate as his ancestors. A fate made of sky, rocks and solitude.
DIRECTOR’S NOTE We grew up listening to the tales of our fathers and grandfathers. They were country tales that told about earth and skies, flocks and wheat, men and women at work, songs and feasts, death and suffering, about an animated, unchanging world. This is how we grew up; our child’s fantasy was sparked by barbarian tales and by names of characters and places coming back to mind with a mysterious and inscrutable charm, names that we have never forgotten. Our imagery was as wide as that shabby piece of Murgia where our roots are, a piece of land that meant more than the entire world for us. We grew up this way, by grafting ourselves on our stump.
And while we were growing up, everything around us changed forever. During the 60s and the 70s our fathers started deserting their lands and our grandfathers remained alone to preserve a cultural, social and economic heritage that seemed to be empty by then. Cities were becoming crowded, and factories too. Then the 80s saw the spreading of commercial television and of commodity fetishism that triggered a devastating process of anthropological mutation. A whole world, the rural one, disappeared, swept away by the flood of a new imagery ruled by the Money god and made of brands, spangles and strobe lights. By then, we were grown so much that we did not know anymore who we used to be and where we came from.
This is how we made our entrance in the world, forgetful of ourselves, driven by our curiosity about life, fascinated by the cities, by the opportunities, by the encounters, involved in the wild transformations of reality. We walked as long as we could, tirelessly, through the streets of the world. Yet, some longing kept consuming our hearts, something we could not explain. It was then that we first experienced how bitter is when you feel lost, when you do not recognize and understand yourself anymore. We discovered solitude and the absence of belonging. We found ourselves irremediably lost in a glittering hall of a crowed hypermarket.
And we defended ourselves as we could: with music, books, cinema, and then with politics, ideology. We have built paths of resistance and new imageries for new possible worlds. Along this way, we have slowly recovered and understood ourselves again. Just a few of us indeed. Since, on the way, we had to learn to acknowledge the defeats, the betrayals, the slogans’ emptiness, the cultural barony, the commodification of thought. Although there were only a few of us, we did not lose heart because, in the meantime, along the way, we had found our lost fathers and ancestors. They were in Pavese’s writings and in Scotellaro’s lines. They were the men and the women of De Seta’s films. They were in the boundless American fields of Terence Malick. They were in Matteo Salvatore’s songs. They were with Di Vittorio during his struggles for the land and for the workers’ rights and in Gramsci’s thinking, which, from the prison of an Apulia’s village, shone upon the future world. They were, even earlier in the past, in the Italian resistance, which transformed our forebears from peasants into brigands. So many stories, still to be told, have come back to the surface from the depths of our memory, like stones unearthed by the ploughshare.
Here is how it happened. Tired of our rooms, of our screens and of our mobiles, one day we got into our car and went westwards towards the sun, leaving the city, its traffic and all the infinite connections of our modernity behind. We always took the least beaten track, the most deserted one, where the asphalt was in bad condition and there were no road signs. We drove on aimlessly, through endless fields, derelict farmhouses and disused rails. When the sun began to decline, we left the car and climbed a hill. From the top, we could see the Murge plateau. Down below in the distance, many white dots, mingling with the white of the calcareous stones, moved in unison with a black dot at the head – the shepherd. We went towards him. We too, then, had gone back to the house of the father.
____________________
Il passato continua a scorrere in noi in cento onde; noi stessi infatti non siamo se non ciò che in ogni attimo sentiamo di questo fluire (F. Nietzsche)
SINOSSI Sull’altopiano della Murgia, al confine tra Puglia e Basilicata, per centinaia di anni l’uomo ha camminato con le sue greggi nel sole e nel vento. Oggi, un anziano pastore ripete, testardo, gli stessi gesti e lo stesso destino che fu dei suoi padri. Un destino fatto di cielo, pietre e solitudine.
NOTE DI REGIA Siamo cresciuti con le storie dei nostri padri e dei nostri nonni. Storie contadine che parlavano di terra e cielo, di greggi e di grano, di uomini e donne al lavoro, di canti e di feste, di morte e dolore, di un mondo vivo e immutabile. Siamo cresciuti così, con la nostra fantasia bambina accesa da racconti barbari, da nomi di luoghi e personaggi che tornavano alla mente con un fascino oscuro e impenetrabile, nomi che non abbiamo più dimenticato. Siamo cresciuti con un immaginario grande quanto quel misero pezzo di Murgia in cui il nostro sangue si è fatto, quel pezzo di terra che per noi era quasi più del mondo stesso. Siamo cresciuti così, innestandoci sul nostro ceppo.
E mentre crescevamo, tutto intorno cambiava per sempre. Erano gli anni Sessanta e Settanta, e già i nostri padri abbandonavano le terre e i nostri nonni restavano soli a custodire un patrimonio culturale, sociale ed economico che appariva ormai vuoto. Le città si ingrossavano, le fabbriche pure. Poi ci pensarono gli anni Ottanta, con la diffusione della televisione commerciale e del feticcio della merce, a innescare un processo di mutazione antropologica devastante. Un mondo intero, quello contadino, è scomparso, travolto dall’onda d’urto di un nuovo immaginario fatto di marchi, paillettes, luci strobosferiche e dio denaro. A quel punto siamo cresciuti così tanto che non sapevamo più chi eravamo stati e da dove venivamo.
E siamo andati incontro al mondo così, dimentichi di noi stessi, rapiti dalla curiosità per la vita, affascinati dalle città, dalle occasioni, dagli incontri, partecipi delle trasformazioni selvagge del reale. Abbiamo camminato per quanto potevamo, senza fatica, per le strade del mondo. Eppure qualcosa ci molceva il core, qualcosa che non sapevamo dire. È stato allora che abbiamo assaporato per la prima volta l’amarezza del perdersi, del non incontrarsi, del non capirsi. Abbiamo scoperto la solitudine e l’inappartenenza, ci siamo ritrovati in un corridoio sfavillante di un ipermercato affollato irrimediabilmente perduti.
E ci siamo difesi, come potevamo. Con la musica, con i libri, con il cinema. E poi dopo con la politica, con l’ideologia. Abbiamo costruito percorsi di resistenza e nuovi immaginari per altri mondi possibili. E lungo questo cammino ci siamo lentamente ritrovati e compresi. In pochi, certo. Perché intanto, camminando, abbiamo dovuto imparare a riconoscere le sconfitte, i tradimenti, il vuoto degli slogan, il baronaggio culturale, la mercificazione del pensiero. In pochi, ma senza perderci d’animo. Perché intano, lungo la via, abbiamo ritrovato i nostri padri, i nostri antenati. Erano nelle pagine di Pavese e nei versi di Scotellaro. Erano gli uomini e le donne delle pellicole di De Seta. Erano negli sterminati campi d’America di Terrence Malick. Erano nei canti di Matteo Salvatore. Erano con Di Vittorio nelle lotte per la terra e per il lavoro, e nelle riflessioni di Gramsci che dal carcere di un paesino della Puglia irradiavano il futuro del mondo. E ancora più indietro, nella guerra di resistenza che trasformò i nostri progenitori da contadini in briganti. Tante storie e tante altre ancora da raccontare, che pian piano sono riemerse dal fondo della nostra memoria, come pietre dissotterrate dal vomere.
È andata proprio così. Che un giorno, stanchi delle nostre stanze, dei nostri schermi, dei nostri telefoni, siamo saliti in macchina e abbiamo preso verso occidente, incontro al corso del sole, lasciandoci dietro le città, il traffico, le infinite connessioni della nostra modernità. Abbiamo preso sempre la via meno battuta, quella con l’asfalto malandato, quella senza indicazioni, quella deserta. Abbiamo proseguito senza meta, tra campi sterminati, masserie abbandonate e ferrovie in disuso. Quando il sole ha iniziato ad abbassarsi abbiamo lasciato l’auto e siamo saliti in cima a una collina. Dall’alto, lo sguardo si apriva all’altopiano murgiano. In lontananza, in basso, tanti puntini bianchi si muovevano all’unisono confondendosi con il bianco delle pietre calcaree, e un puntino scuro in testa, il pastore. Gli siamo andati incontro. Anche noi, infine, siamo tornati alla casa del padre.
____________________
CREDITS
HAPPINESS IS A DENSELY UNPOPULATED PLACE (Italy 2011, 48’, colour, 1.85:1, DigiBeta)
Direction Francesco Dongiovanni
With Peppe Carlo Clemente
Director of photography Vincenzo Pastore
Editing Francesco Dongiovanni, Vincenzo Pastore
Sound Editing Vincenzo Pastore
Director’s Assistant Rosario Milano
Produced by Murex
In collaboration with Regione Puglia – Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva – Governo Italiano – Ministero della Gioventù
With the contribution of Centro Studi Torre di Nebbia – Circolo del Cinema Bandeàpart
“Happiness is a densely unpopulated place” is a line taken by BOLORMAA, a song by the Italian band C.S.I. Courtesy of Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Universal Music Italia Srl.
____________________
SCHEDA TECNICA
DENSAMENTE SPOPOLATA E’ LA FELICITA’ (Italia 2011, 48’, colore, 1.85:1, DigiBeta)
Regia Francesco Dongiovanni
Con Peppe Carlo Clemente
Fotografia Vincenzo Pastore
Montaggio Francesco Dongiovanni, Vincenzo Pastore
Audio Vincenzo Pastore
Assistente alla Regia Rosario Milano
Prodotto da Murex
In collaborazione con Regione Puglia – Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva – Governo Italiano – Ministero della Gioventù
Con il contributo di Centro Studi Torre di Nebbia – Circolo del Cinema Bandeàpart
“Densamente spopolata è la felicità” è un verso della canzone BOLORMAA dei CSI. Per gentile concessione di Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Universal Music Italia Srl.
____________________
FESTIVAL E PROIEZIONI (screenings)
2011
Avvistamenti | Molfetta | IT
Intima Lente | Caserta | IT
Les Ecrans Documentaires | Parigi | FR
2012
Via Emilia Doc Fest | Modena | IT
Days Of Ethnographic Cinema | Mosca | RU
Otranto Film Fund Festival | Otranto | IT
Trani Film Festival | Trani | IT
Imaginaria Film Festival | Conversano | IT
BIF&ST – Bari International Film Festival | Bari | IT
Days of Ethnographic Film | Lubiana | SL
2013
Culture Unplugged | Online | USA-IN
____________________
AWARDS
Special mention “Doc Spazio Italia” a IMAGINARIA FILM FESTIVAL 2012